Jovanotti a Zurigo: ritmo, poesia e follia !

Canzoni sensibili, una penna immersa nello Champagne e un pubblico in fiamme: Lorenzo e la sua orchestra hanno sfondato l’atmosfera rovente dell’Hallenstadion. Racconto di una serata indimenticabile.

Una forza poetica, un ritmo demoniaco, un’apertura sul mondo. Sì, Jova ha viaggiato tanto, e si sente. Il suo approccio alla musica è quello di un assemblatore di buone ispirazioni ritmiche, di trovate messe al servizio del funk e del groove, delle musiche nere, del rap che aveva abbracciato alla fine degli anni ‘80. Ero in Italia, a Napoli, mentre si preparava il Mondiale del 1990, e il suo volto appariva sui muri di tutta la città. All’epoca era un animatore « up and coming », con il cappellino ben piantato in testa e l’America di Jordan nel mirino. Prendeva il microfono su Radio Deejay, già perfettamente sintonizzato con il suo tempo.

La follia di Zurigo è quella di migliaia di fan che nutrono per Jova un profondo rispetto. « La gente è cresciuta con lui », mi confida Nelly, siciliana d’origine. Sebastiano ricorda di aver ascoltato « Mi Fido di Te » in loop mentre studiava da solo a casa. Un compagno di viaggio lungo il cammino degli studi e del successo. La bellezza dell’arte di Jovanotti è questa apertura, questa energia, questa capacità di abbracciare un’infinità di suoni, dalla pop all’elettronica. Nel suo ultimo album, Il Corpo Umano Vol. 1, « Montecristo » ha una struttura classica che si fa molto contemporanea, mentre « Oh Yeah », usato come slogan in « Fuorindia », ha una dimensione dance ipnotica.

E gli sforzi per ballare non sono nemmeno così faticosi. Sul palco, Jova gioca la carta dell’essenzialità italiana: chitarra o strumenti minimi per i pezzi più intimi, poi un’esplosione di suoni grandiosi con la sua grande orchestra, con due percussionisti e un batterista per le cavalcate ritmiche travolgenti. Claudio, ticinese, mi parla del suo amore per « L’Ombelico del Mondo ». Il pezzo fa alzare in piedi l’intero Hallenstadion in un lampo. Il concerto è appena iniziato e già quell’atmosfera afro-cubana pazzesca esplode. Jova non rallenta mai, gioca con l’energia, dà tutto, sempre.

Appassionato del mondo e delle sue evoluzioni, cita le parole più ricorrenti nei suoi 16 dischi, un repertorio luminoso. Le più presenti? « Amore, Vita, Libertà, Sole ». Le mescola in un mix di franglish e tedeschitaliano che gli zurighesi tutti frutti capiscono perfettamente. La torre di Babele è qui, ma invece di crollare, si innalza e fa sì che tutti si comprendano. Il Palajova Tour è un tripudio visivo, con luci artificiali di ogni colore. Jova è ovunque: sui cappellini dei fan, nelle voci che si alzano intorno a me. I miei vicini hanno dimenticato la stanchezza e si scatenano completamente su « I Love You Baby » e « Ragazzo Fortunato ». Ci si muove, si canta a squarciagola. È una festa, una comunione.

Jova gioca anche la carta dell’arte visiva, con inserti fotografici e collage digitali fantastici. Il pubblico e i musicisti si trasformano in personaggi di altre culture, Jova diventa Hendrix, Jackson o Marley, mentre la sua band assume le sembianze dei Muppets, con un’aria da Kermit the Frog. Il pubblico ne vuole ancora. E lui sa di avere ancora tanto da dare. A 60 anni, dopo un incidente in bicicletta che avrebbe potuto costargli la vita, è al culmine di un’esistenza artistica fatta di incontri, dall’Africa alle Americhe. Il suo bioritmo ha seguito la sua dolce follia, i suoi testi poetici si sono arricchiti con il tempo.

Amo Jovanotti come amo la pop music e il rap italiani. Quest’uomo si è espresso con talento in entrambi. Sul palco sa come emozionare un’intera sala. Zurigo ha uno dei pubblici più esigenti della Svizzera, e la diaspora italiana della prima città del Paese ha capito che vedere Jova in queste condizioni significava riportare un pezzo d’Italia a sé, riconnettersi con un’Italianità idealizzata. Vasco Rossi, Zucchero, Lucio Dalla, Adriano Celentano… e ne dimentico decine. La musica italiana non è mai stata così vivace. La generazione successiva, con Max Gazzè, Tiziano Ferro, fino ai più giovani come Rocco Hunt, continua a brillare. Eppure, in una serata di oltre due ore, è Jovanotti a vincere la corsa. In uno sprint finale verso la vetta, raggiunge il Monte Bianco della realizzazione artistica restando semplicemente sé stesso: un uomo dai valori universali, positivi, dalle mille sfaccettature, sempre sincero.

Ho visto Jova, e questo ricordo di Italianità vera resterà con me per tutta la vita.

David Glaser (foto e testo)

Laisser un commentaire